Cardo mariano

Silybum marianum (L.) Gaertn., Asteraceae
Ovvero: Una pianta generosa…

Arzneipflanzenbuch, Ausburg, 1520-1530
Il Cardo mariano è una bella pianta diffusa nelle zone temperate di tutto il mondo, lo troviamo fra ruderi ed incolti, ai margini di campi abbandonati e di strade campestri. È biennale: il primo anno produce una rosetta basale e solo nel secondo i fiori. Le foglie sono ampie, lucide e screziate di bianco, i suoi lobi terminano in spine coriacee. I grossi capolini porporini sono anch’essi ben armati di lunghe spine dalla punta ricurva.

Incerte sono le notizie sul cardo mariano nell’antichità. È il Pternix di Teofrasto? In Dioscoride – medico e naturalista greco, la cui opera costituì la principale autorità in materia botanico-farmacologica fino al XVII secolo – compare una breve nota sul σίλυβον, silybon – da cui deriva il nome del genere silybum –, pianta commestibile spinosa e screziata difficilmente identificabile. Il Vehedistel di Ildegarda di Bingen è veramente il cardo mariano? Una prima illustrazione non ambigua della pianta “chiamata dal volgo Cardo di Maria” appare solo nel 1542 nel De historia stirpium del botanico tedesco Leonardt Fuchs. Tale nome, “cardo di Maria”, fa riferimento alle screziature bianche delle foglie interpretate come gocce di latte della Vergine Maria. L’appellativo botanico “di Maria” era frequentissimo nel medioevo cristiano e almeno un’altra pianta, la Polmonaria, era chiamata per lo stesso motivo lac benedictae virginis, latte della santa Vergine. Rari o laconici rimangono comunque i riferimenti al suo uso.

Leonardt Fuchs, Historia stirpium, Basel, 1542
Se veniva snobbato nei trattati di medicina e dietetica (e nelle cucine dei privilegiati a cui queste costose opere erano rivolte), non esistono motivi per dubitare che fosse di alimento e cura per il popolo. Anzi. A partire dalla metà del XVI, all’insegna della lezione dello svizzero Paracelso – il Lutero della medicina, il quale rifiutava l’uso di droghe esotiche nella convinzione che in ogni regione la Natura producesse le più adeguate sostanze curative –, comincia ad emergere una nuova farmacopea attenta ai rimedi naturali facili da procurarsi localmente e indagatrice delle pratiche in uso nelle campagne. Il cardo mariano acquista allora piena dignità e fa la sua apparizione sulle mense aristocratiche. In Inghilterra, – dove i cardi si coltivano nei giardini come piante decorative, – alcuni naturalisti entusiasti battono la campagna alla ricerca di “erbe inglesi, le più confacenti per i corpi inglesi”. Il botanico Gerard scrive che in Inghilterra il cardo mariano “cresce dappertutto” e che se ne consumano le foglie più tenere (Herbal, 1597). Nicholas Culpeper, medico-astrologo “dissidente”, promotore di una medicina alla portata di tutti, anche dei più poveri, nel 1652 lo consiglia per le malattie del fegato. La fama dell’efficacia terapeutica del cardo mariano continua a crescere negli anni successivi. In Europa come anche in America, Australia e nuova Zelanda, dove si diffonde, portato dai coloni europei. Fino a diventare quella star della fitoterapia che oggi conosciamo.

Ma arriviamo al suo uso in cucina: il cardo mariano è generoso, utile in tutto il periodo vegetativo: i giovani getti a primavera, i capolini in maggio-giugno, le radici a fine estate. Si prepara come i cardi e i carciofi. Per le sue proprietà curative oltre che per le proprietà organolettiche aromatico-amaricanti, la pianta seccata entra nella preparazione di liquori digestivi. Lasciamo ora parlare un contemporaneo di Culpeper, quel John Evelyn propagandista del vegetarianesimo, che nel suo Acetaria (1699) così scrive: “il cardo lattario, pulito delle spine, è altamente stimato: il giovane fusto (si vende nei mercati di erbe), pelato e immerso nell’acqua per fargli perdere l’amaro, bollito o crudo, condito con olio, sale e pepe, costituisce un’insalata salutare; se ne preparano zuppe o torte salate, come si fa con i carciofi; altri lo preferiscono fritto; in ogni caso è cibo nutriente e corroborante... Prendi le coste centrali del cardo lattario a maggio, quando sono giovani e tenere: lavale e pelale; bolliscile in acqua con un po’ di sale fino a che non sono diventate morbide, poi scolale e falle asciugare. Si mangiano ripassate molto velocemente al burro. Sono cibo delicato e salutare”.