Trifoglio d’acqua

Marsilea quadrifolia L., Marsileaceae
Ovvero: Quel che non ammazza ingrassa…

Accademia Cinese delle Scienze, Istituto di Botanica, 安徽经济植物志, 1960
I paesaggi cambiano, le piante migrano e questo accade di continuo, spesso con incredibile rapidità. Sulla superficie degli stagni e acquitrini europei un tempo frequentemente si vedevano galleggiare tappeti verdi di giovani trifogli. Questa piantina è il Trifoglio d’acqua, Marsilea quadrifolia, una felce acquatica autoctona in Europa. In America del nord fu introdotta in tempi relativamente recenti, nel 1862. Poi, nel susseguirsi implacabile che regola gli eventi ecologici, la popolazione europea si è tanto ridotta che oggi la Marsilea è una pianta protetta, mentre negli USA si è ben naturalizzata e si è mostrata così aggressiva da venir inclusa nell’elenco delle piante potenzialmente invasive.

Le foglie e i gambi di varie specie di Marsilea, pianta delle risaie, vengono consumati comunemente in diverse aree asiatiche (il semanggi – la Marsilea crenata – a Giava è, per esempio, l’ingrediente principale del pecel semanggi, uno dei più tipici cibi della regione del Surabaya). Si utilizzano in cucina generalmente in piccole quantità, talvolta crudi ma più spesso cotti: in questo modo viene abbattuta una loro leggera tossicità dovuta all’enzima thiaminase che inibisce l’assorbimento della thiamina, la vitamina B1. La deficienza di questa vitamina causa una malattia degenerativa dei nervi (il beri-beri) che comporta dolore e tremore agli arti e, nei casi più estremi, la paralisi e la morte.

Un altro alimento proveniente dal trifoglio d’acqua sono gli sporocarpi, specie di sacchetti gelatinosi che contengono le spore necessarie alla pianta per riprodursi. Ricchi di amido ma anche di thiaminase, diventano commestibili solo dopo un laborioso processo di trasformazione. In Australia le popolazioni aborigene insediate nel deserto utilizzavano gli sporocarpi del Nardoo, la Marsilea drummondii, nei periodi più duri di carestia. Se può sembrare strano che una pianta acquatica viva nei deserti, bisogna ricordare che in Australia le zone desertiche sono caratterizzate da un clima estremamente arido alternato a periodi di piogge monsoniche. Durante la stagione piovosa la pianta si sviluppa dalle spore per riprodurle a sua volta in un ciclo biologico brevissimo. Poi si secca. Le spore, contenute negli sporocarpi, rimangono vitali anche per 20-30 anni e in questo modo garantiscono alla pianta ottime probabilità di sopravvivenza in un clima così difficile. Gli Aborigeni raccoglievano gli sporocarpi secchi e se ne servivano dopo una lunga e faticosa preparazione come farina per la preparazione di pani cotti sotto la cenere.




Quel che non ammazza ingrassa. Già. A questo proposito voglio raccontare la triste storia degli sfortunati Burke e Wills. Siamo in Australia nell’agosto del 1860, al tempo della regina Vittoria dunque. Un’imponente spedizione cammellata al comando degli esploratori Burke e Wills parte da Melbourne con lo scopo di raggiungere il Golfo di Carpentaria a nord attraversando le regioni desertiche interne allora ancora inesplorate. L’impresa si rivelò infelice: dopo svariate amare vicissitudini che decimarono la carovana, durante il viaggio di ritorno Burke e Wills morirono; unico superstite, solo un tale John King riuscì a tornare a Melbourne.

Era accaduto che, rimasti senza provviste, i tre esploratori si fossero rivolti all’unica fonte di cibo disponibile in quel periodo dell’anno nel deserto, il Nardoo, come avevano visto fare dagli aborigeni Yandruwandha presso i quali avevano precedentemente vissuto per un breve periodo. Ne avevano però imparato troppo approssimativamente il processo di preparazione e trascurarono certamente qualche passaggio utile per neutralizzare la thiaminase contenuta nella pianta. La storia completa riporta che durante il soggiorno presso gli aborigeni, benché fossero stati accolti pacificamente, Burke avesse minacciato con una pistola uno di essi, causando la fuga dell’intera tribù. Un mese dopo Burke e Wills erano entrambi morti, uccisi dal beri-beri e dalla consunzione. King, rimasto solo e ormai in fin di vita, fu soccorso e accolto nuovamente dagli Yandruwandha che lo accudirono per alcuni mesi con pasti dello stesso “pane del deserto”. La tragica ironia di questa storia consiste nel fatto che lo stesso Nardoo che uccise Burke e Wills salvò invece King.