Capelvenere

Adiantum capillus-veneris L., Pteridaceae
Ovvero: Dove si poteva sorbire in pace una buona Bavarese…

Ferdinand Bernhard Vietz, Icones plantarum medico-oeconomico-technologicarum, Wien, 1800
Il Capelvenere è un rimedio contro la forfora, si dice. A questa proprietà, di fare belli i capelli, deve il nome. Le sue fronde, inoltre, respingono l’acqua, particolare che desta la meraviglia degli antichi: adíanton (άδίαντον) – che non si bagna – è il nome che Teofrasto, medico greco discepolo di Aristotele, dà a due felci che venivano allora usate per fortificare i capelli. Molto probabilmente non si tratta della nostra pianta, ma per secoli non si fece molta distinzione e regnò, anzi, una certa confusione fra le felci chiamate capillari (dalla parola latina capillus, capello) perché somiglianti, per l’appunto, ai capelli, alle quali venivano via via attribuite ora questa ora quella proprietà. Niente di speciale a dire il vero.

Verso la fine del Cinquecento si verificò un’impennata apparentemente immotivata dell’interesse per questa pianta: nell’Herbario nuovo (1585) di Castore Durante vien data una speciale enfasi alle virtù dell’Adianto ovvero Capelvenere, in una compilazione stranamente ampia di tutto quanto era stato scritto nella letteratura precedente a proposito di questa e delle altre capillari. Perciò la questione si fece ancora più confusa: “chi vuole seguire la variabile opinione degli scrittori in merito all’Adianto capelvenere finirà necessariamente in un labirinto di dubbi, considerando la quantità di opinioni diverse sul tema”, avverte candidamente il botanico inglese John Gerard qualche anno più tardi.

Fatto sta che uno sciroppo di capillaria “di sapore straordinariamente piacevole” si produce in quantità sempre crescenti “per la delizia dei cortigiani” nella città di Montpellier, ci informa nel suo Trattato sull’Adianto o Capelvenere nel 1644 tal Pierre Formi, di professione medico nella stessa Montpellier, che lo propaganda come rimedio universale, certo non disinteressatamente. Questo opuscolo acquista una straordinaria notorietà e in breve tempo lo sciroppo di capillaria viene prescritto in tutta Europa per i malanni più disparati. Sotto l’alibi inconsistente della sue presunte virtù curative, diventerà, con lo sciroppo di fiori d’arancio, il dolcificante per il tè in maggior favore presso il pubblico.

“Lo sciroppo di vaniglia, o in sua mancanza, quello di capillaria è da preferirsi allo zucchero in caso di infiammazione dei polmoni, palpitazioni del cuore e nelle altre malattie del petto, e in questi casi sarà bene lasciare il tè in infusione nel latte di vacca bollente e un po’ scremato. Mentre per le malattie che dipendono dall’indigestione [è consigliabile] sostituire allo zucchero lo sciroppo di fiori d’arancio”. Così scrive il medico Nicolas de Blégny in Le bon usage du Thé du Caffé et du Chocolat pour la preservation & pour la guerison des Maladies (1687).



Tè, latte e sciroppo di capillaria: questa bevanda prenderà presto il nome di Bavarese – una ricetta tutta francese a dispetto del nome –, la cui moda impazzò nella Parigi dei caffè letterari. La Bavarese più à la mode si prende nei Café italiani, i pretenziosi Café Procope e il Tortoni, dove si riuniscono artisti e intellettuali, politici e ricchi signori, insomma tutta la Parigi che conta. Là dove si vuole si siano sviluppate le idee della Rivoluzione francese. Ma anche in locali più intimi e discreti si poteva sorbire in pace una buona Bavarese leggendo il giornale del mattino “senza venir intimiditi dagli specchi in cornici dorate e le sedie di velluto rosso dei locali di genere napoletano”, suggerirà più tardi Marcel Proust.

La Bavarese: il dolce al cucchiaio che noi conosciamo con questo nome altro non è che il risultato di successive variazioni degli ingredienti e della consistenza a partire da quell’originaria formula a base di tè, latte e sciroppo di capillaria. Ricetta che si andò ad arricchire via via con l’aggiunta di rossi d’uovo, gelatine, liquori, cioccolato, caffè, aromi agrumati e spezie varie. Ecco la ricetta di una Bavarese “di transizione” tratta da Le guide culinaire (1934) di Auguste Escoffier:

“Lavorate in una casseruola 250 gr di zucchero con 8 rossi d’uovo, fino a che il composto non sia ben spumoso. Aggiungete, uno dopo l’altro, 1 dl di sciroppo di capillaria, 1/2 l di tè appena fatto e altrettanto di latte bollente, continuando a sbattere con una frusta per farli montare. Completate all’ultimo con 2 dl di kirsch o rum. Se la Bavarese è alla vaniglia, all’arancia o al limone, lasciate precedentemente l’aroma in infusione nel latte per un quarto d’ora. Se è al cioccolato, fatelo sciogliere e aggiungetevi poi il latte profumato alla vaniglia. Se è al caffè: lasciate in infusione nel latte 100 gr di caffè torrefatto e macinato di fresco o aromatizzate con 1/2 l di caffè appena fatto. La Bavarese si serve in bicchieri speciali come mousse.”

Così, tra dovere della dieta e piacere della gola, questo sciroppo amarognolo e dolce insieme divenne un’amabile consuetudine per la gente di buon gusto, un genere di conforto irrinunciabile il cui uso si mantenne per oltre due secoli, attraversando con pieno successo la lunga stagione in cui nacque la moderna gastronomia. Nell’Ottocento è ben insediato in cucina e fa parte di quei generi alimentari di base conservati in dispensa insieme alla farina, allo zucchero, al caffè. Mantiene ancora un certo suo carattere di blando medicinale, delicato e gradevole, con cui si dolcificavano le cremine d’orzo cotto nel latte adatte ai convalescenti. Anche in Inghilterra il caudle – l’alimento più o meno liquido da assumersi durante le malattie – si preparava generalmente cuocendo una farinata d’avena nel latte o nella birra, si aromatizzava con scorze di limone e spezie e si dolcificava con un buon cucchiaio di sciroppo di capillaria. La pappetta poteva, a seconda del destinatario, venir più o meno fortificata con brandy o cherry.

L’Ottocento è anche il momento in cui si riversano sui mercati europei quantità ingenti di spezie, che da ingredienti elitari divengono accessibili ad un pubblico sempre più ampio. Non a caso, sarà proprio la Gran Bretagna, nel periodo di maggior fulgore del suo impero coloniale (1815-1914), uno degli ambienti più interessanti per l’avvio della democratizzazione della gastronomia. È un periodo di grande creatività culinaria. In una vera esplosione di inventiva, si sperimentano nuovi eclettici intrugli e beveroni miscelati con quell’arte speciale che sarà propria del mixologist. Nel 1827 compare la prima pubblicazione interamente dedicata ai mixed drink, l’Oxford Night Caps, che raccoglie le miscele allora più in voga tra gli allegri studenti dell’Università di Oxford durante i gioviali festini dedicati al dio Bacco. Molte sono le ricette in cui è presente lo sciroppo di capillaria. Al posto d’onore troviamo la ricetta dell’Oxford punch a base di rum, agrumi, gelatina e capillaria:

“Sfrega la buccia di tre limoni con delle zollette di zucchero per estrarne l’aroma. Taglia a fettine sottilissime la scorza di due arance di Siviglia e di due limoni. Versa quanto sopra in una caraffa con il succo di quattro arance di Siviglia e di dieci limoni. Aggiungi sei bicchieri di gelatina di manzo liquida. Mescola bene. Versa due quarti d’acqua bollente sulla mistura, copri per bene la caraffa e mettila accanto al fuoco per un quarto d’ora. Quindi filtra il liquido e versalo in una brocca per il punch o in una caraffa, dolcifica con una bottiglia di capillaria e aggiungi mezza pinta [0,568 l] di vino bianco, una pinta di brandy francese, una pinta di rum giamaicano e una bottiglia di shrub [bibita a base di succo di frutta, zucchero e alcol] d’arancia; mentre si versano i liquori la mistura va mescolata di continuo. Se non fosse sufficientemente dolce, aggiungi gradualmente piccole quantità di zucchero in zollette o un cucchiaio o due di capillaria. Si può servire caldo o freddo. Se si diminuisce della metà la quantità di liquori alcolici e si lascia nel ghiaccio per breve tempo, si otterrà una piacevole bevanda estiva.”


Come si vede, ci davano dentro. Ritroveremo questo classico nel How to Mix Drinks or the Bon-Vivant’s Companion (1862) di Thomas Jerry – la bibbia dei bartender americani. Ma lo sciroppo di capillaria ha ormai i giorni contati e si avvia al proprio ineluttabile destino: non sopravviverà alla diffusione delle spezie esotiche a buon mercato né, soprattutto, all’industria degli aromi artificiali: nel Novecento diventa una rarità. In Portogallo, ignari di tutto, continuano ancora a produrre lo Xarope de avenca – sciroppo di capelvenere – con il quale nelle sere d’estate, con l’aggiunta di ghiaccio e limone, preparano la bibita Capilè, sopravvivenza di una tramontata e misconosciuta vasta gloria.